Giuseppe Mazzi

Giuseppe Mazzi , detto " Beppe"

Giuseppe Mazzi nacque ad Anghiari, il 5 gennaio 1910 da Paolo e Salvi Elisabetta, che era di Sanseplocro. Apparteneva ad una famiglia di scalpellini, artigiani, poi il mestiere andava scemando e lui ha deciso di cambiare e provare un mestiere nuovo, provò a fare il fabbro, lavorò come ragazzo di bottega dal Giorni.
Il ricordo principale è il suo mestiere di restauratore, anche perché all'inizio era l'unico che faceva questo mestiere ad Anghiari, e ogni volta che ci si riferiva a Beppe Mazzi era "quello dell'antichità".
Dopo il lavoro di fabbro andò a lavorare a "la segheria", che qui ad Anghiari era chiamata così, ma in realtà era una falegnameria, la falegnameria di Ruggero Frini, era un grande capannone che sorgeva dove ora c'è l'Albergo Meridiana. Ha lavorato lì da garzone, poi ha cominciato a fare lavori più grossi, lo mandavano anche per le case, era arrivato ad un buon livello. La falegnameria cominciò a non andare bene e poi prese fuoco, ci fu una specie di fallimento e chiuse definitivamente. Chi ci lavorava fu liquidato con i ferri del mestiere che furono salvati dall'incendio, e allora alcuni si misero in proprio.
Beppe aprì una bottega vicino all'attuale Istituto d'Arte, il fondo lo prese in affitto dal comune e cominciò a fare dei piccoli lavori. La sua fissazione è sempre stata quella del restauro, più che del falegname, anche se faceva lavori di falegnameria. Erano i primi anni '50 e non c'era ancora un grosso traffico di oggetti d'antiquariato ad Anghiari, il commercio più grande era ad Arezzo e Firenze, dove lui andava tutte le settimane. Quando Beppe andava a Firenze con il figlio andavano la mattina a girare per le botteghe e il pomeriggio ad ammirare le chiese. C'era una chiesa, in Borgo Ognissanti, con tutto l'altare affrescato dal Corsini, in cui era rappresentata la battaglia di Anghiari, perché la chiesa era legata alla storia di Montauto, c'era raffigurato l'arresto S. Francesco, un'operra che è ora custodita a La Verna.
In zona c'erano pochi antiquari, due o tre, uno era di Sansepolcro, il Croci, che più che antiquario era un ricercatore, aveva un'abitudine, quella di "tabaccare", all'usanza del '700: aveva la tabacchiera con il tabacco in polvere l'apriva se lo metteva sulla mano e lo annusava, lo offriva anche, Beppe che non fumava accettava per gentilezza e poi starnutiva incessantemente!
L'ultimo discendente della famiglia Testi viveva ancora ad Anghiari, nell'omonimo palazzo. Questo palazzo era stato sede di un'Accademia, l'Arcadia, quella del Redi di Arezzo, quindi dentro il palazzo c'erano cose di valore inestimabile, c'era una biblioteca grandissima e ricchissima, anche di manoscritti. Beppe Mazzi era di casa lì e il sor Beppe Testi gli faceva vedere questi libri, glieli faceva leggere. C'erano i codici anghiaresi, anche il Taglieschi era lì dentro, dopo la morte del Testi la Biblioteca è stata in vendita in un negozio di un antiquario a Firenze per 11 anni, con un cartello appeso fuori " vendita della libreria Testi".
Con Don Nilo Conti, il proposto che per un periodo fu anche sovrintendente onorario, e che andava spesso da Beppe, proprio perché sapeva che era stato molto a contatto con il Testi e aveva molte notizie. Insieme, a Firenze, recuperarono qualche libro del Taglieschi, purtroppo non avevano i soldi per comprarne di più.
Quindi la storia dell' antiquariato ad Anghiari non è solo quella più conosciuta, ad Anghiari c'erano cose di valore già prima del periodo in cui fiorì l'antiquariato, Beppe raccontava d esempio di un codice Macchiavelli, e di un Boccaccio, scritti a mano… "c'è da sperare che fossero copie!"
Quindi lui fin da giovane, prima di iniziare a fare il restauratore, aveva già la passione per questa ricchezza di Anghiari, poi iniziando a fare il restauratore, cominciò ad andare in giro e conoscere gli antiquari di Firenze e di Arezzo, il Bruschi, in particolare, era un amico, con lui si scambiavano consigli.
All'inizio Beppe è stato l'unico restauratore della zona, poi quando prese piede il settore dell'antichità tutti i falegnami cominciarono a specializzarsi nel restauro, perché ce ne era bisogno, anche perché il settore della falegnameria, con l'arrivo del mobile moderno, era in declino.
Venne fuori poi l'idea di aprire un Istituto d'Arte, nei primi tempi c'era il senatore Bartolomei, ci furono vari personaggi di Anghiari, che si adoperarono per aprire la scuola, anche il sindaco che si era interessato, erano sempre nella bottega di Beppe; dopo l'apertura della scuola, l'antiquariato prese sempre più piede, e ora c'è una bella realtà.
Beppe non si separava soprattutto dalle cose di Anghiari, se l'è tenute tutte e molte le ha donate al museo Taglieschi. In realtà contribuì non solo con le donazioni alla realizzazione del museo. Il museo nacque grazie alla volontà di Don Nilo Conti, che lo voleva fermamente, anche quando, nell'ultimo periodo di vita, stava male, il suo pensiero era quello di non riuscire a vedere il suo sogno realizzato. Il museo ci ha messo molti anni a nascere, tutto quello che è stato fatto è stato fatto attraverso il volontariato. Don Nilo era quasi tutti i giorni in bottega da Beppe, a chiedere qualche aiuto per qualcosa, nei tempi che il lavoro consentiva, si lavorava per il museo, quasi tutto quello che c'è d'arredo, le porte, etc…sono state messe a posto da Beppe: " Hanno tutte un gusto particolare, perché sono cose vere e messe a posto in una certa maniera". La sera stessa che il proposto fece il contratto, andò da Beppe in bottega, verso le sei di sera, tutto contento, dicendo: " Beppe, c'abbiamo il museo, ce l'abbiamo fatta! Domani viene il sovrintendente…via, via, ci se va, bisogna aprire e fargli vedere com'è…". Il Palazzo era in condizioni pietose, Beppe con il figlio Angelo e il parroco, con in mano il martello, il mazzolo, a lume di candela, tirò fuori una porta aggiustando e lavorando fino alle undici e mezzo di sera.
Altri oggetti si preoccupò invece che fossero acquisiti invece dall'Istituto d'Arte, facilitandone l'acquisto. Ivan Bruschi era allora il presidente della scuola, Beppe aveva uno scrittoio particolare, ma di cui non tutti riuscivano a capire il valore, così lo fece vedere al Bruschi che lo prese nella scuola, da dove passò poi al museo. Un'altra cosa è un crocifisso, che sembrava essere del '700, era di una famiglia anghiarese, Beppe convinse l'Istituto a comprarlo, poi lo vide Salmi, uno storico dell'arte importantissimo, il cui nome è ancora oggi conosciuto, e Beppe tentò di strappargli una stima, sulla data, questi non si pronunciò, ma lasciò intendere che, probabilmente, era del '400 Ci teneva Beppe che le cose di Anghiari non andassero perdute, ma rimanessero ad Anghiari. Le prigioni in Palazzo comunale, vari stemmi, sono tutte cose salvate perché qualcuno c'ha posto attenzione e amore!
Un aneddoto di questa sua passione è legato alle Sinopie di Sansepolcro, che sono ora custodite nella Pinacoteca, nella sala denominata proprio "delle Sinopie". Queste erano prima in una chiesa, alla quale era crollato il tetto, dalla porta si riusciva a intravedere che all'interno c'erano le Sinopie. Il giorno dell'inaugurazione della Pinacoteca, c'era un personaggio dello stato che inaugurava, Beppe lo conosceva e così lo fermò e gli disse:
" La vuole vedere una cosa bella?", lo portò a vedere le sinopie, attraverso la porta, e questi chiamò il sindaco, due giorni dopo anche le Sinopie vennero staccate e portate nella Pinacoteca.
Anche per la prima mostra delle armi, Beppe fu addetto al reperimento dei pezzi, perché ci voleva qualcuno che capisse quali erano d'Anghiari e quali no. Sapeva prendere dalla cultura del paese le cose belle e le sapeva distinguere dalle altre.
I suoi clienti erano quasi tutti antiquari, anche da Roma, da Firenze, qualche privato, ma ci trattava poco volentieri, perché il privato voleva essere "incensato". Non era un venditore Beppe, ha sempre comprato cose che gli piacevano non per guadagnare, ma per il gusto o perché ne apprezzava il valore, a volte non comprava, anche se magari un certo stile di mobile era di "moda", lui diceva "No, non mi piace, non lo compro!", pur se il guadagno sarebbe stato alto.
Anche il ministro Siviero quando passava in zona capitava da Beppe. I sovrintendenti di Arezzo…passavano da lui, soprattutto per i lavori di palazzo Taglieschi, perché ciò che c'era venisse restaurato e non ci fossero falsi, e quello che non c'era più venisse invece riscostruito come probabilmente era stato, ad esempio la scala, c'erano le tracce di alcuni scalini e in base a quelli fu ricostruita la scala originale, anche osservando, grazie a Beppe, altri palazzi di Anghiari della stessa epoca.
Una volta ad Arezzo, alla Fiera, pioveva tantissimo e c'era un gruppo di ragazzi che per scaldarsi aveva acceso un fuoco e stavano bruciando delle cose di legno, purtroppo a volte succedeva che bruciassero di tutto, c'era tra queste cose una scatola di legno, che aveva un aspetto strano, Beppe si avvicinò e vide che mentre di fuori era informe, dentro era un modellino di una galleria, tutto fatto con i pezzi di legno intarsiati, un oggetto del '700, una cosa bellissima, se si guardava dal punto di vista giusto si vedeva questa galleria, così lo comprò, contrattando con i ragazzi che volevano bruciarlo per il freddo…si era talmente zuppato d'acqua che in due non riuscivano a portarlo via, ma alla fine ce la fecero e poi Beppe fece in modo di farlo acquistare alla scuola.
All'inizio con gli altri artigiani aveva un buon rapporto, per lavorare i pezzi alle macchine andava sempre dal Giorni, che aveva costruito i macchinari da sé, una fresatrice fatta tutta di legno, con un motore che era un residuato bellico, quando la mettevi in moto tremava talmente che il pezzo che appoggiavi lo dovevi tenere ben fermo, perché tremava così tanto che non si riusciva a fare il lavoro; una sega a nastro che era una cosa eccezionale, un misto tra una mietibatti e una sega a nastro, c'era questa sega pesante di ghisa e il movimento non era dato da un motore, lui c'aveva un'albero motore che attraversava tutto il laboratorio, ogni macchina c'aveva una puleggia, sulla quale c'erano delle strisce di cuoio che andavano giù e venivano all'utensile, l'utensile aveva a sua volta due puleggie, una che andava a ruota libera, per far muovere la macchina c'era una leva di ferro con due beccucci che prendeva la cinghia e la spostava a ruota libera su quell'altra, lo stesso principio della mietibatti. Segare era un'avventura!!! Per il resto Beppe faceva tutto a mano, lavorava come gli artigiani del '700. Di botteghe ne ha avute tre: la prima vicino all'Istituto d'arte, poi tra l'Istituto d'arte e il comune, dopo l'arco, poi a sant'Agostino.
Qualsiasi situazione si presentasse lui aveva un esempio storico, ma non lontano nel tempo, riguardante il paese, aveva una memoria incredibile e aveva conosciuto quasi tutti ad Anghiari, non faceva distinzioni tra le persone e per qualsiasi cosa succedesse faceva un esempio calzante di qualcosa che aveva visto accadere a qualcuno del paese.
Era un uomo che parlava volentieri con tante persone, gli piaceva anche raccontare degli altri che aveva conosciuto.
Sulla vita della famiglia il suo lavoro influì profondamente, i figli hanno fatto la scuola d'arte, e attualmente insegnano all'istituto d'Arte, uno di loro del lavoro del padre dice: " Le cose belle che mi ricordo non sono in realtà legate al lavoro in sé, ma alla passione, alla gente che veniva in bottega perché conosceva la passione e la competenza nel riconoscere e apprezzare il valore delle cose, che era una caratteristica mio babbo".


Intervista al figlio Angelo, a cura di Sara Moretti.

 

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