Giuseppe Del Sere
Parla Santi del Sere dello zio Giuseppe Del Sere detto "GNASO".
A cura di Stafania Bolletti
Lo
zio nacque nel 1915 o 1918, ora non ricordo.
Fin da piccolo la mamma mi portava a trovarlo alla sua bottega che inizialmente
si trovava lungo la salitina della Fonte (Via Generale Carlo Corsi) e,
successivamente, Tra le Mura; lì lo zio mi faceva giocare con i
pezzetti di legno.
Una volta terminati gli studi all'Istituto Statale d'Arte di Anghiari,
sono andato a fare pratica alla sua bottega, per sei mesi.
La bottega di Gnaso era un fondo adibito a laboratorio: una sola presa
di corrente per azionare gli attrezzi elettrici e due lampadine che venivano
accese una alla volta a seconda dell'esigenza. Nella bottega c'erano in
prevalenza utensili di vario tipo azionati con propulsore a mano: il segone,
la sega a telaio, la sega piccola a nastro, le varie pialle, un tavolo
da falegname e vari ferri da lavoro come lime, raspe e qualche scalpello
di dimensioni diverse. Nei muri erano infissi dei chiodi dove venivano
attaccate delle sagome in compensato tratte da modelli di mobili e sedie
originali che servivano da modello per le ricostruzioni.
Mi ricordo che alla parete, in modo un po' disordinato, erano attaccate
delle foto incorniciate alla meglio che raffiguravano : il mio povero
babbo Laurino (suo fratello), il mio povero zio Berto (un altro suo fratello)
in divisa militare durante la campagna di Russia, il mio povero nonno
Santi (il suo babbo) in tenuta militare della prima guerra mondiale e
infine i mie fratelli Animale e Valter nel giorno della prima Comunione.
Mi sono sempre chiesto perché non c'ero anch'io nell'album dei
ricordi dello zio.
Un altro oggetto mancante nella bottega dello zio era il Crocifisso forse
a causa del suo pensiero politico comunista e della sua contrarietà
all'istituzione ecclesiastica.
Questa era la bottega dello zio Gnaso fin da quando ero piccolo.
La foto del fratello in divisa militare, rievocava in lui molti ricordi
compreso quello legato alla sua esperienza di guerra. Quando infatti lo
zio partì per la leva militare, che all'epoca durava circa tre
anni, fu fermato perché nel frattempo l'Italia era entrata in guerra
e fu inviato in Russia. À, attraverso una serie di informazione
raccolte di plotone in plotone, ritrovò il fratello ed insieme,
nel '45, tornarono al paese a piedi, dopo nove anni di assenza.
Di quella esperienza, lo zio raccontava sempre di un episodio che lo aveva
particolarmente colpito per la grande umanità dimostratagli da
una donna alla quale si rivolse per chiedere aiuto per le sue mani in
stato di semi-congelamento. La donna senza esitazione gliele prese tra
le sue mani e le scaldò al suo seno salvandolo da una probabile
brutta fine di quelle preziose dita.
Quando andai nella sua bottega, dopo il diploma, lui mi considerava un
allievo con pochissima esperienza pratica oltre che essere molto scettico
rispetto a quello che avevo imparato e che mi avevano insegnato a scuola;
in particolare non condivideva l'uso di macchine moderne nel lavoro artigianale
come lui aveva da sempre concepito ed infatti era solito dirmi "Tutti
i somari sono buoni a lavorare con le macchine ! ". Da parte mia,
io imparai più cose in quei sei mesi che non durante tutte le ore
di laboratorio della scuola.
Lo zio lavorava per un antiquario di Anghiari ( Milton Poggini) il quale,
frequentando altre città ed incontrando artigiani restauratori
a Firenze, in Francia, aggiornava lo zio su tecniche innovative di lucidatura,
restauro ecc. che lo zio custodiva gelosamente.
Quando, più tardi, ho messo su la mia bottega, abbiamo continuato
a lavorare insieme ed io gli ho commissionato anche la realizzazione o
il restauro di mobili. Ricordo che ogni sabato pomeriggio veniva qui alla
mia bottega ed entrando diceva sempre: "So venuto dal mio capo".
Il tono era ovviamente ironico, però denunciava il fatto che con
il tempo aveva iniziato ad apprezzare il mio lavoro e le differenze tra
i nostri metodi di lavoro dovute alle mie conoscenze acquisite alla scuola
come per esempio l'importanza del disegno. Anche sulle macchine ebbe un
ripensamento e quando io comprai la sega elettrica lui fece una smorfia,
ma dopo una settimana l'aveva anche lui nella sua bottega.
Il privilegio degli artigiani come lui, rispetto a noi giovani usciti
dalla scuola, stava nel fatto che pur essendo degli autodidatti, erano
custodi di conoscenze da loro acquisite dall'aver potuto ammirare oggetti
d'arte e mobili antichi originali e averne carpito tutti i segreti inerenti
la tecnica costruttiva e le qualità dei materiali impiegati. Anche
gli altri artigiani come lui, possedevano in tal senso, un sapere non
appreso nelle scuole o nei libri ma attraverso gli occhi e le mani.
Degli altri artigiani, Gnaso, parlava poco perché si sa che l'artigiano
è un po' individualista e non si permetterebbe mai di criticare
il lavoro svolto da un collega. Però spesso citava Borghesi che
era bravo intarsiatore per il motivo che prima di fare l'artigiano aveva
studiato da geometra; e poi "Cannone" che era un bravo intagliatore,
un fenomeno a detta dello zio, dalla cui bottega era uscito il Dragonetti
che era il più capace restauratore del paese; mi parlava di un
certo Frini che aveva la segheria, se non ricordo male, in Piazza del
Teatro dove erano stati a bottega molti apprendisti artigiani dell'epoca
di Gnaso. Ed ovviamente parlava del suo "datore" di lavoro,
Milton Poggini, antiquario e prima ancora artigiano premiato a Parigi
per aver costruito un bel violino.
Il lavoro di artigiano è stato l'unica fonte di sostentamento
dello zio, ma anche quando è arrivata l'età della pensione,
Gnaso ha continuato a lavorare per il piacere di vedere una sua opera
compiuta e per la gratificazione che riceveva da quel risultato.
Soltanto poco prima di morire a 84 anni, ha dovuto interrompere l'attività
per via della vista che ormai aveva quasi del tutto perso.
indice
|