Mario Borghesi


Mario Borghesi: un eclettico artigiano


Mario Borghesi è approdato al lavoro di restauratore ancor giovane, dopo varie esperienze lavorative e di studio.
Nasce a Sansepolcro il 25 marzo 1929, primo di quattro figli; irrequieto, curioso, intraprendente, trasgressivo già dall'infanzia e nell'adolescenza. Difficile era contenere la sua esuberanza in famiglia, nella scuola e in seminario da cui aveva appreso gli studi del latino che poi coltiverà, con altre letture, nel periodo del lavoro artigianale.
Da Sansepolcro arriva ad Anghiari, novello sposo, nel 1954, venticinquenne con 'Masì', la moglie diciannovenne, portando insieme l'inquietudine della continua ricerca di sé, del mondo, dell'idea di giustizia che lo aveva visto partecipe di numerosi avvenimenti.
La sua attività di restauratore inizia così, tra questa ricerca inquieta e creativa da una parte e il sodalizio affettivo dall'altra, con la famiglia della moglie: i Papini, falegnami Anghiaresi.
Fu un orizzonte nuovo nella sua vita: il luogo, Anghiari; il matrimonio, una nuova famiglia a cui appartenere. Questo generò in lui un cambiamento dovuto anche ad una lunga degenza per malattia.
Tali esperienze lo portarono ad osservare la vita in modo diverso, coltivando, negli anni, un'intensa soddisfazione che traeva origine dal suo lavoro e dalla famiglia.

Da ex contabile alla fattoria di Gricignano, inizia il suo lavoro componendo delle cartoline augurali quando l'antiquario Milton Poggini, incuriosito da queste sue produzioni, lo invita a restaurare i dipinti acquistati nel suo lavoro.
Sono anni di grande desiderio creativo: autodidatta, con molte ore di sperimentazione, studio, ricerca sui libri, alle mostre, al laboratorio, nei viaggi.

La famiglia dei suoceri, i Papini, da cui apprende il mestiere, sono falegnami da qualche generazione. Il nonno, come molti altri artigiani dell'epoca, andava per le campagne ad aggiustare gli arnesi utili ai lavori agricoli e spesso il loro lavoro era ricompensato in natura.
Come falegnami costruivano anche gabbie per conigli e bare per il comune.

Mario divideva il suo laboratorio con uno zio Papini: Ernesto, lì "al Fosso" (via Trieste). Iniziano così le sperimentazioni sul restauro, soprattutto come intarsiatore.

A casa aveva un altro laboratorio dove si dedicava alle prove, a sperimentare una tecnica di tarsia di un certo tipo: "….le sfumature rese più particolari con l'uso della sabbia calda, una certa patina nella lucidatura dei mobili…" come nei ricordi di Elisabetta, unica figlia nata dopo sette anni di matrimonio.
Questo suo laboratorio familiare era anche una fucina preziosa per Elisabetta, nel racconto di suo padre. Uscivano dalle sue mani pezzi in legno per i suoi giochi come piccoli divanetti, armadi, lettini e poi, la sera, in casa con lei a studiare la lingua inglese con i dischi e i libri.
Con la moglie condivideva il gusto del disegno, delle sfumature da dare ai ricami che lei, conosciuta ricamatrice, riproduceva sui tessuti e poi, i loro viaggi, alla scoperta del mondo, dei paesaggi, dei capolavori dell'arte, insieme alla ricerca dei disegni di grandi maestri da cui trarre idee per le sue tarsie.

Ha lavorato in Anghiari per altri antiquari come il Calli e il Poggini.

Mario Borghesi è una figura solitaria nel panorama della vita degli artigiani restauratori degli anni '50, per quella sua naturale riservatezza che possedeva, frutto di un profondo rispetto per gli altri e quel senso intimo di vivere la sua vita, i suoi esperimenti, quel rapporto informale nelle interazioni sociali, unito ad un certo disinteresse per le apparenze ma disponibile agli altri.
La sua riservatezza portava a qualche fantasia da parte degli altri artigiani così che alcuni pensavano che fosse un geometra dedicatosi al restauro.

Mario lavorava al laboratorio. Lì intorno i ragazzi, vocianti, entravano e uscivano sulle loro biciclette, girando intorno al tavolo di lavoro e qualche allievo dell'istituto d'Arte, sorto ad Anghiari nel 1962, passava nella sua bottega per chiedere consigli.

Se un pezzo gli riusciva bene provava a farne un altro e lo teneva per sé.
Ha lavorato per famiglie a Roma, Modena, Arezzo.

Ritrovare i materiali e i diversi tipi di legno non era facile come non lo era restaurare su legni che costituivano mobili stile Luigi XV o i cassettoni del '700, dove si cercava di rifare quel fiore nell'intarsio e individuare sia il legno, sia le sostanze che si adattassero meglio all'originale.
Le tarsie che si restauravano erano, oltre che in legno, in madreperla e con osso, come nei mobili fiorentini e lombardi del '600 e '700.
C'era anche la mano sottile e sapiente nel restauro di piccoli fiori in madreperla o avorio dei mobili olandesi.
Anche lo stile "maggiolino" era conosciuto da Mario Borghesi, con le sue scene di caccia, bucoliche, tra pastori e fanciulle o fiori e greche con un particolare stile di disegno nei mobili, scrivanie e cassettoni.
Era tutto un piacevole lavoro di scoperta e di rinascita di pezzi antichi che ritrovavano la luce e la loro collocazione, restituendo quel fascino e quella storia che si portavano dietro.


La morte improvvisa a 58 anni, nel 1987, ha interrotto quella creatività e quella immensa soddisfazione per la ricerca che riempiva la sua vita come una continua scoperta lasciata, così, ai futuri restauratori Anghiaresi.
Elisabetta, unica figlia, ne raccoglie questo intenso ricordo di quando si stringeva a lui nell'ora dei pasti, seduta accanto, in un abbraccio che nei suoi sensi ha ancora l'odore della resina, dei collanti, della polvere di bottega: quella del suo 'babbo' nella lingua dei toscani.

Febbraio 2004 - colloquio a cura di Carmen Ferrari

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